Quali standard?
(di Gianni Matranga)
Questo
articolo vuole indagare e porre un problema reale circa una corretta
interpretazione di quello che dovrebbe/potrebbe essere lo standard
ideale di un uccello da esposizione.
Per quanto
riguarda i settori interessati penserei di investire anche a mo’ di
esempio esplicativo la categoria che racchiude gli psittaciformi ivi
compresi gli ondulati.
Tutti gli
ornitofili che allevano per esporre nelle varie manifestazioni che si
svolgono in tutto il mondo devono sottostare a delle regole che vengono
riunite in comportamenti e standard, questi ultimi, riguardano in
particolare le caratteristiche fenotipiche ovvero l’aspetto cromatico,
la forma, la taglia ecc. che deve rispettare ogni soggetto esposto.
Attraverso questi
standard il giudice preposto dovrà quindi verificare l’esistenza, o
meglio il rispetto di tali requisiti, che più si avvicinano ai dettami
degli standard maggior gradimento tradotto in punti potranno ricevere.
Questo concetto
sembra abbastanza semplice e deduttivo e viene applicato a qualsiasi
competizione che vede gareggiare degli animali.
In pratica si
“disegna” l’animale ideale
che si vorrebbe e tutti gli espositori devono fare in modo che i propri
soggetti si avvicinino più possibili a tali criteri.
A verificarne la
effettiva appartenenza e vicinanza a tali vincoli sono chiamati a
riscontrarne la concordanza dei giudici specializzati per ogni settore o
categorie a concorso.
Dopo queste brevi ma
doverose precisazioni entriamo direttamente ad esaminare la problematica
completa che deriva da questi concetti.
Émile Carpiaux
nel suo "Traité complet d'aviculture"
del
Risulta abbastanza chiaro che questa definizione e questo pensiero calza
alla perfezione per quanto riguarda gli standard possibili per
selezionare delle razze all’interno di alcune specie di animali che
potremo semplicisticamente definire domestici o meglio addomesticati
dall’uomo per i sui scopi ivi compresi quelli amatoriali o sportivi che
dir si voglia.
Il pensiero riportato è per me un caposaldo di una possibile dottrina
ovvero la “selezione possibile” che riassume i fondamenti di
quanto riportato nel pensiero di Carpiaux.
Quando lui usa le parole“….utilità……..migliorare
e perfezionare”ritengo che esprimesse un unico concetto riferito
principalmente alla pratica applicazione nella selezione da reddito. Indubbiamente però possono benissimo essere trasportate a favore della selezione ai soli fini amatoriali e sportivi come sono quelli di un ornitofilo come siamo noi.
Trovandomi in piena sintonia con questo pensiero, comunque, richiamo
l’attenzione nel concetto “prevedere
l’ideale di bellezza …verso il quale ogni razza deve convergere”.
In esso credo sia riassunto il concetto di standard al quale io
aggiungerei solo “prevedere l’ideale di bellezza
voluto…”racchiudendo in questa parola il concetto di soggettività riferito alla
bellezza che Treccani definisce come
“Qualità
di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi …”
Quindi da soggettività si deve estrapolare il concetto di oggettività
che poi tutti dobbiamo perseguire nella ricerca del “bello” che è stato
statuito dagli standard.
Non voglio dilungarmi oltremodo su queste tematiche ma spero di aver
trasmesso il fatto che uno standard deve essere più estensibile
possibile ai soggetti in questione, realizzabile e non in contrasto con
quelli che sono i meccanismi che regolano la trasmissione dei caratteri
ovvero la genetica. |
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Faccio un esempio calzante: se un soggetto manifesta un colore arancio (maschera di un Fischeri verde), attraverso la selezione possiamo aggiungere o sottrarre tonalità, saturazione, luminosità o brillantezza ma mai sostituire quel colore con un altro, tranne che nel frattempo non sorga una mutazione nel gene/i che esprime tale colore.
Va precisato comunque che, quanto riferito, non può essere applicato in
toto a tutti quegli uccelli che utilizzano pigmenti come i carotenoidi o
simili e per i quali artificiosamente, si può introdurre nella loro
dieta un colorante artificiale (Cantaxantina, carofil, βcarotene,
luteina ecc..) che essi riescono ad assorbire ed esprimere
successivamente sul proprio piumaggio senza alcun intervento di
modificazione genetica. |
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Rimandiamo gli altri a successiva ed eventuale trattazione.
Ogni modificazione del patrimonio genetico, quindi, produce delle
modificazioni nel fenotipo che riguardano il colore del piumaggio, la
sua localizzazione (disegno), la sua estensione ma anche la forma, la
postura, aberrazioni e anomalie che possono, con opportuna selezione,
essere fissate.
Ricordiamo che ogni mutazione repentina nel patrimonio genetico di un
individuo rappresenta un “errore” del sistema di replicazione cellulare
e, pertanto, non tutti i tratti derivanti da tali “errori” possono
essere trasmessi senza conseguenze.
Per non infarcire troppo di nozioni questo articolo, fermiamo qui il
concetto, senza ulteriori precisazioni, dando per scontato che la
maggior parte dei lettori sia consapevole delle conseguenze di una
mutazione genica. Un po’ di tempo fa segnalai a chi di dovere che gli organi preposti alla stesura degli standard dovrebbero avere in seno alla loro commissione dei consulenti scientifici che li indirizzino verso quei fenomeni possibili attraverso anche la selezione spinta.
Insomma, qualcuno che si assuma la responsabilità scientifica di
consigliare anche sulla espressione precisa da usare per descrivere gli
aspetti o tratti fenotipici manifestati. Un appendice a quanto contenuto in questo intervento e riallacciandomi al successivo sulla selezione, è opportuno segnalare alcuni passaggi che ritengo importanti e che riguardano proprio, come refluenza l’uno sull’altro, la selezione e la conseguente redazione degli standard come risultato di quello ottenuto ed in via di riconoscimento.
In pratica ad ogni
selezione riconosciuta ed ottenuta dovrebbe corrispondere uno standard,
così come è vero che ad ogni standard verrà incasellato un solo
risultato ottenuto.
In che senso?.
Ritengo sia intuibile, ma allargo, comunque la visione in quanto intendo
dire che, una selezione qualsiasi ottenuta con lo scopo di conseguire
anche un nuovo “tipo”, di per se abbisogna di studi ed osservazioni che
consentano di individuare il percorso intrapreso attraverso la
selezione.
Naturalmente questo
solo non basta perché una fase cruciale di tale eventuale attestazione,
ovvero la creazione di un nuovo “tipo”, è quella che porti alla
conclusione che esso sia stabile nel senso che sia replicabile.
Poiché, la selezione,
secondo me, è e deve essere dinamica difficilmente un nuovo “tipo”
rimane invariabile; anche lui subirà delle modificazioni nel tempo, che
sono figlie di solito di casualità o di ricerca o di entrambe. La conclusione è che, periodicamente, gli standard devono essere aggiornati affinché non si verifichi il “famigerato” giudizio di gusto cioè che, ogni giudice, in mancanza di standard appropriati e aggiornati, esprima valutazioni secondo il suo gusto.
Purtroppo questa è
una piaga che, anche in presenza di criteri di giudizio precisi, viene
elusa da troppi giudici e per questo bisognerebbe costantemente essere
aggiornati e coerenti con quelli che sono gli indirizzi dati dagli
standard.
Poi se non si
ritengono corretti o coerenti con lo sviluppo dei soggetti nel tempo si
sottolinei nelle sedi opportune; ma mai giudicare come gusto personale. A quanto detto va ricollegato anche un annoso problema: gli standard devono comunque “inseguire” la moda o le continue modificazioni dei fenotipi già consolidati oppure devono creare un certo tipo di confine oltre il quale si deborda verso altre manifestazioni fenotipiche? Esempi ne potrei fare all’infinito ma mi astengo, almeno per ora, lasciando il tutto alle vostre riflessioni/opinioni. Se richiesto ed interessante sarà tema di prossima trattazione. Un ultimo accenno come argomento collaterale e sempre ricollegato agli standard è quello di una adozione di un sistema cromatico ufficiale e riconosciuto da tutti onde evitare la confusione di identificazione delle cromaticità possedute dagli Uccelli (tutti). Diciamo subito che oggi, non esiste una scala cromatica esistente per il riconoscimento dei colori posseduti dagli uccelli anche perché, la maggior parte di essi, è frutto di interazioni, soffusioni, miscelazioni ecc. Consapevole, pertanto, della difficoltà di affidare a scale cromatiche esistenti anche il riconoscimento dei colori degli uccelli ma, convinto da sempre della necessità di adottarne una (scala cromatica), esaminate quelle esistenti, proposi l’adozione di una in particolare, in quanto la più semplice e la più intuibile in quanto contenente solo colori piatti e non miscelati. A tal proposito suggerii la scala cromatica “RAL 841 GL” Quando si definisce un colore Giallo bisogna sapere che, secondo quella scala cromatica, sono previsti ben 19 tinte di giallo. Quindi bisognerebbe precisare quale di quelle tinte è applicabile al nostro campione. Mi fermo qui perché ogni argomento ne implica altri e, quindi, avremo bisogno di un trattato completo. Comunque molti di questi argomenti sono stati abbondantemente trattati in altre sedi a cui rimando (Italia Ornitologica, Corriere Ornitologico, Siti e Blog vari oltreché profili Facebook). In questa nostra illustrazione abbiamo usato molto la parola selezione che poi non è altro, se ci si riflette, che l’esplicazione pratica di quello che è la scelta dell’aspetto fenotipico che abbiamo intenzione di preferire.
Questo aspetto ovvero della selezione e della sua pratica sarà argomento
del prossimo intervento. |