Quali standard?

(di Gianni Matranga)

 

Questo articolo vuole indagare e porre un problema reale circa una corretta interpretazione di quello che dovrebbe/potrebbe essere lo standard ideale di un uccello da esposizione.

Per quanto riguarda i settori interessati penserei di investire anche a mo’ di esempio esplicativo la categoria che racchiude gli psittaciformi ivi compresi gli ondulati.

Tutti gli ornitofili che allevano per esporre nelle varie manifestazioni che si svolgono in tutto il mondo devono sottostare a delle regole che vengono riunite in comportamenti e standard, questi ultimi, riguardano in particolare le caratteristiche fenotipiche ovvero l’aspetto cromatico, la forma, la taglia ecc. che deve rispettare ogni soggetto esposto.

Attraverso questi standard il giudice preposto dovrà quindi verificare l’esistenza, o meglio il rispetto di tali requisiti, che più si avvicinano ai dettami degli standard maggior gradimento tradotto in punti potranno ricevere.

Questo concetto sembra abbastanza semplice e deduttivo e viene applicato a qualsiasi competizione che vede gareggiare degli animali.

In pratica si “disegna” l’animale ideale  che si vorrebbe e tutti gli espositori devono fare in modo che i propri soggetti si avvicinino più possibili a tali criteri.

A verificarne la effettiva appartenenza e vicinanza a tali vincoli sono chiamati a riscontrarne la concordanza dei giudici specializzati per ogni settore o categorie a concorso.

Dopo queste brevi ma doverose precisazioni entriamo direttamente ad esaminare la problematica completa che deriva da questi concetti.

Émile Carpiaux nel suo "Traité complet d'aviculture" del 1924 a proposito degli standard formulati sulla base del soggetto ideale estremo scrisse: "Gli standard non debbono essere concepiti in termini di una rigidità tale che le modificazioni e le trasformazioni inerenti a ogni essere vivente vengano vituperati. Al contrario, devono prevedere l’ideale di bellezza e d’utilità verso il quale ogni razza deve convergere, e devono essere abbastanza elastici da permetterne la realizzazione. Insomma, hanno per missione quella di indicare agli allevatori i punti importanti che bisogna migliorare e perfezionare senza sosta, conservando, ben inteso, la rusticità indispensabile, senza la quale qualunque miglioramento è vano.”

Risulta abbastanza chiaro che questa definizione e questo pensiero calza alla perfezione per quanto riguarda gli standard possibili per selezionare delle razze all’interno di alcune specie di animali che potremo semplicisticamente definire domestici o meglio addomesticati dall’uomo per i sui scopi ivi compresi quelli amatoriali o sportivi che dir si voglia.

Il pensiero riportato è per me un caposaldo di una possibile dottrina ovvero la “selezione possibile” che riassume i fondamenti di quanto riportato nel pensiero di Carpiaux.

Quando lui usa le parole“….utilità……..migliorare e perfezionare”ritengo che esprimesse un unico concetto riferito principalmente alla pratica applicazione nella selezione da reddito.

Indubbiamente però possono benissimo essere trasportate a favore della selezione ai soli fini amatoriali e sportivi come sono quelli di un ornitofilo come siamo noi.

Trovandomi in piena sintonia con questo pensiero, comunque, richiamo l’attenzione nel concetto “prevedere l’ideale di bellezza …verso il quale ogni razza deve convergere”.

In esso credo sia riassunto il concetto di standard al quale io aggiungerei solo “prevedere l’ideale di bellezza voluto…”racchiudendo in questa parola il concetto di soggettività riferito alla bellezza che Treccani definisce come Qualità di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi …”

Quindi da soggettività si deve estrapolare il concetto di oggettività che poi tutti dobbiamo perseguire nella ricerca del “bello” che è stato statuito dagli standard.

Non voglio dilungarmi oltremodo su queste tematiche ma spero di aver trasmesso il fatto che uno standard deve essere più estensibile possibile ai soggetti in questione, realizzabile e non in contrasto con quelli che sono i meccanismi che regolano la trasmissione dei caratteri ovvero la genetica.

Faccio un esempio calzante: se un soggetto manifesta un colore arancio (maschera di un Fischeri verde), attraverso la selezione possiamo aggiungere o sottrarre tonalità, saturazione, luminosità o brillantezza ma mai sostituire quel colore con un altro, tranne che nel frattempo non sorga una mutazione nel gene/i che esprime tale colore.

Va precisato comunque che, quanto riferito, non può essere applicato in toto a tutti quegli uccelli che utilizzano pigmenti come i carotenoidi o simili e per i quali artificiosamente, si può introdurre nella loro dieta un colorante artificiale (Cantaxantina, carofil, βcarotene, luteina ecc..) che essi riescono ad assorbire ed esprimere successivamente sul proprio piumaggio senza alcun intervento di modificazione genetica.

Pertanto proseguiremo la nostra narrazione, come già avvertito in premessa, prendendo spunto da quelle che sono le caratteristiche dei soli Psittaciformi (pappagalli), che come è noto, per la loro colorazione, utilizzano le Psittacofulvine, sostanze che agiscono esclusivamente a livello del tessuto follicolare durante la crescita delle piume

Rimandiamo gli altri a successiva ed eventuale trattazione.

Ogni modificazione del patrimonio genetico, quindi, produce delle modificazioni nel fenotipo che riguardano il colore del piumaggio, la sua localizzazione (disegno), la sua estensione ma anche la forma, la postura, aberrazioni e anomalie che possono, con opportuna selezione, essere fissate.

Ricordiamo che ogni mutazione repentina nel patrimonio genetico di un individuo rappresenta un “errore” del sistema di replicazione cellulare e, pertanto, non tutti i tratti derivanti da tali “errori” possono essere trasmessi senza conseguenze.

Per non infarcire troppo di nozioni questo articolo, fermiamo qui il concetto, senza ulteriori precisazioni, dando per scontato che la maggior parte dei lettori sia consapevole delle conseguenze di una mutazione genica.

Un po’ di tempo fa segnalai  a chi di dovere che gli organi preposti alla stesura degli standard dovrebbero avere in seno alla loro commissione dei consulenti scientifici che li indirizzino verso quei fenomeni possibili attraverso anche la selezione spinta.

Insomma, qualcuno che si assuma la responsabilità scientifica di consigliare anche sulla espressione precisa da usare per descrivere gli aspetti o tratti fenotipici manifestati.

Un appendice a quanto contenuto in questo intervento e riallacciandomi al successivo sulla selezione, è opportuno segnalare alcuni passaggi che ritengo importanti e che riguardano proprio, come refluenza l’uno sull’altro, la selezione e la conseguente redazione degli standard come risultato di quello ottenuto ed in via di riconoscimento.

In pratica ad ogni selezione riconosciuta ed ottenuta dovrebbe corrispondere uno standard, così come è vero che ad ogni standard verrà incasellato un solo risultato ottenuto.

In che senso?. Ritengo sia intuibile, ma allargo, comunque la visione in quanto intendo dire che, una selezione qualsiasi ottenuta con lo scopo di conseguire anche un nuovo “tipo”, di per se abbisogna di studi ed osservazioni che consentano di individuare il percorso intrapreso attraverso la selezione.

Naturalmente questo solo non basta perché una fase cruciale di tale eventuale attestazione, ovvero la creazione di un nuovo “tipo”, è quella che porti alla conclusione che esso sia stabile nel senso che sia replicabile.

Poiché, la selezione, secondo me, è e deve essere dinamica difficilmente un nuovo “tipo” rimane invariabile; anche lui subirà delle modificazioni nel tempo, che sono figlie di solito di casualità o di ricerca o di entrambe.

La conclusione è che, periodicamente, gli standard devono essere aggiornati affinché non si verifichi il “famigerato” giudizio di gusto cioè che, ogni giudice, in mancanza di standard appropriati e aggiornati, esprima valutazioni secondo il suo gusto.

Purtroppo questa è una piaga che, anche in presenza di criteri di giudizio precisi, viene elusa da troppi giudici e per questo bisognerebbe costantemente essere aggiornati e coerenti con quelli che sono gli indirizzi dati dagli standard.

Poi se non si ritengono corretti o coerenti con lo sviluppo dei soggetti nel tempo si sottolinei nelle sedi opportune; ma mai giudicare come gusto personale.

A quanto detto va ricollegato anche un annoso problema: gli standard devono comunque “inseguire” la moda o le continue modificazioni dei fenotipi già consolidati oppure devono creare un certo tipo di confine oltre il quale si deborda verso altre manifestazioni fenotipiche?

Esempi ne potrei fare all’infinito ma mi astengo, almeno per ora, lasciando il tutto alle vostre riflessioni/opinioni. Se richiesto ed interessante sarà tema di prossima trattazione.

Un ultimo accenno come argomento collaterale e sempre ricollegato agli standard è quello di una adozione di un sistema cromatico ufficiale e riconosciuto da tutti onde evitare la confusione di identificazione delle cromaticità possedute dagli Uccelli (tutti).

Diciamo subito che oggi, non esiste una scala cromatica esistente per il riconoscimento dei colori posseduti dagli uccelli anche perché, la maggior parte di essi, è frutto di interazioni, soffusioni, miscelazioni ecc.

Consapevole, pertanto, della difficoltà di affidare a scale cromatiche esistenti anche il riconoscimento dei colori degli uccelli ma, convinto da sempre della necessità di adottarne una (scala cromatica), esaminate quelle esistenti, proposi l’adozione di una in particolare, in quanto la più semplice e la più intuibile in quanto contenente solo colori piatti e non miscelati.

A tal proposito suggerii la scala cromatica “RAL 841 GL” Quando si definisce un colore Giallo bisogna sapere che, secondo quella scala cromatica, sono previsti ben 19 tinte di giallo.

Quindi bisognerebbe precisare quale di quelle tinte è applicabile al nostro campione.

Mi fermo qui perché ogni argomento ne implica altri e, quindi, avremo bisogno di un trattato completo. Comunque molti di questi argomenti sono stati abbondantemente trattati in altre sedi a cui rimando (Italia Ornitologica, Corriere Ornitologico, Siti e Blog vari oltreché profili Facebook).

In questa nostra illustrazione abbiamo usato molto la parola selezione che poi non è altro, se ci si riflette, che l’esplicazione pratica di quello che è la scelta dell’aspetto fenotipico che abbiamo intenzione di preferire.

Questo aspetto ovvero della selezione e della sua pratica sarà argomento del prossimo intervento.