Il
CITES nel mondo A Washington, il 3 marzo 1973, fra la quasi totalità
dei paesi di tutto il mondo venne stipulata una convenzione che si
poneva l’obiettivo di contrastare i traffici commerciali, regolari e
non, relativamente alla flora e alla fauna in pericolo di estinzione. CITES è l’acronimo di: “Convention
on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora”,
tradotto, significa: Convenzione sul commercio internazionale delle
specie di fauna e flora minacciate di estinzione. Sono state allegate alla
convenzione due liste comprendenti le specie oggetto del monitoraggio:
l’allegato A) nel quale sono inserite le specie a maggior rischio e
l’allegato B) comprendente
quelle
di rischio più moderato. Tale convenzione prevede che annualmente si
riuniscano i rappresentanti dei paesi aderenti all’accordo per
verificarne l’andamento sulla base dei report prodotti dalle
associazioni in difesa della natura, dislocate nei vari paesi e per
apportare le conseguenti variazioni alle liste. In proposito, proprio poco tempo
fa il pappagallo “Cenerino” (Psittacus erithacus)
è stato spostato dall’allegato B) all’allegato A) perché gli eccessivi
prelievi dalla natura, soprattutto illegali, data la consistente
richiesta di questi intelligenti animalii per il pet, ne compromettevano
l’esistenza. Tuttavia, dopo quasi mezzo secolo di applicazione,
possiamo dire che i risultati ottenuti siano sostanzialmente positivi,
infatti, in un dossier redatto da Traffic (programma congiunto WWF e
IUCN) riferito al 2018, risulta che i sequestri effettuati in Europa
sono stati circa 500 ed hanno interessato un migliaio di esemplari, in
netta prevalenza pappagalli. Io che ho visitato moltissimi
allevamenti sia in Italia che in Europa,
posso confermare che gli esemplari di dubbia
provenienza rappresentano
una
quantità assolutamente irrilevante.
Il
CITES in Europa La convenzione CITES è stata
recepita dalla
Comunità Europea il
9 dicembre 1996 con il
Regolamento 338/97
che rappresenta la pietra miliare sia per i Regolamenti successivi
(939/97 – 2307/97 – 1808/2001 etc.) che per le legislazioni dei paesi
europei aderenti alla comunità. *** Per quanto riguarda la regolamentazione delle
procedure riferite all’allegato A) tutti i paesi aderenti hanno
legiferato con norme molto simili e comunque compatibili fra di loro,
mentre per quanto attiene all’allegato B), l’Italia si è distinta
rispetto a tutti gli altri producendo una enorme, per quanto inutile,
montagna di burocrazia. L’allegato A) mette al centro il famoso “CITES
GIALLO”, che non è altro che la carta di identità di ogni esemplare
emesso direttamente dallo Stato, dopo seri ed approfonditi controlli. Per fare un esempio, nel momento della denuncia di
nascita presentata dall’allevatore, viene programmata una ispezione
presso l’allevamento dove, oltre ad un controllo di carattere generale,
vengono prelevate le piume dei soggetti oggetto della denuncia di
nascita e dei rispettivi riproduttori, vengono poi trasmesse all ‘ISPRA
per la verifica, tramite DNA, della discendenza genetica. Posso confermare che, a parte i
tempi a volte troppo lunghi per l’ottenimento della certificazione,
questa procedura funziona molto bene da un punto di vista del controllo,
anche
se le particolari rigidità del sistema, tengono lontani da questo tipo
di allevamento molti allevatori, quando sarebbe auspicabile l’esatto
contrario: ossia, sarebbe opportuno riprodurre in cattività il maggior
numero possibile di esemplari da re-immettere eventualmente
in
natura, come sta avvenendo con l’Ara di Spix (Cyanopsitta
spixii). Sinceramente non saprei cosa proporre per avvicinare
di più gli allevatori alla riproduzione delle specie minacciate di
estinzione, poiché un allentamento delle norme potrebbe stimolare una
maggiore illegalità. *** Per quanto riguarda l’allegato B) per noi italiani,
invece, la situazione è assolutamente insostenibile ed inconciliabile
con il resto dell’Europa. In tutti gli altri paesi si sono
limitati a fissare un principio che, da una parte garantisce
la
nascita degli esemplari in cattività, a parte eventuali manomissioni, e
dall’altra non carica sulle spalle degli allevatori e
dell’amministrazione pubblica norme onerose per quanto
inutili. Se la sono cavata fissando un
semplice, ma efficace principio: la presenza dell’anello inamovibile nella
zampa dell’esemplare rappresenta di per sé prova di nascita in cattività.
Fine della storia. Perciò per l’allegato B) in
Europa non esiste nessun obbligo amministrativo (denuncia di nascita,
documento di cessione etc.) e questa misura, oltre a rendere più
semplice il compito degli allevatori, non carica sull’amministrazione
pubblica un consistente
peso amministrativo, dato che gli esemplari
in allegato B) rappresentano la stragrande maggioranza. La normativa italiana è persino
ostativa degli scambi fra gli allevatori dei vari paesi: alcuni anni
orsono dovendo cedere degli Agapornis alla mostra mercato organizzata
dal BVA ad Aalst (Belgio), ho dovuto trovare amici belgi che si
prendessero in carica i miei pappagalli (tutti inanellati), fornendomi i
loro dati anagrafici e firmando il documento di cessione, perché nessun
allevatore di quei paesi avrebbe mai accettato di fornirmi i dati
anagrafici e di firmare un documento per acquistare un uccello, essendo
una pratica da loro totalmente sconosciuta.
Il
CITES in Italia Dopo aver evidenziato l’anomalia
italiana rispetto al resto dell’Europa viene doveroso porsi una domanda:
Perché è successo questo? A chi ha giovato? Ritengo che la risposta possa venire da sola, dopo
aver esaminato i contenuti, le contraddizioni ed i metodi di
applicazione della normativa italiana.
La “Legge madre” italiana è la n.150 del 7
febbraio 1992,
alla quale hanno fatto seguito numerose altre integrazioni e
modificazioni. Questa
Legge stabilisce delle sanzioni assolutamente sproporzionate rispetto
alla gravità dei reati commessi. Mi limito a citare uno stralcio
dell’art. 1: - “Art 1. 1. A chiunque contravviene a quanto previsto agli articoli 1 e 2 - riguardanti gli esemplari indicati nell'allegato A, appendice I e nell'allegato C, parte 1, del regolamento (CEE) n. 3626/82 del Consiglio del 3 dicembre 1982, (omissis) , concernenti l'applicazione nella Comunita' economica europea della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche, loro parti e prodotti derivati, minacciate di estinzione, vengono applicate le seguenti sanzioni: a) arresto fino a tre mesi o ammenda da lire quindici milioni a lire quattrocento milioni; b) in caso di recidiva, arresto da tre mesi a due anni e ammenda da lire quindici milioni a sei volte il valore degli animali, (omissis)” Dato che l’entità delle sanzioni
sembravano troppo contenute, con
Legge del 22 luglio 2015 n. 68,
sono state pesantemente rafforzate (sanzioni attualmente in vigore),
come segue: “Art. 2 1. All'articolo 1 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, alinea, le parole: «con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «con l'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila»; (omissis) . All’art. 8 si affida il compito del controllo al
Corpo Forestale dello Stato:
“Art. 8. 1. Conformemente a quanto previsto
dall'articolo 1, commi 4 e 5, e dall'articolo 8, comma 4, della legge 8
luglio 1986, n. 349, il Ministero dell'ambiente cura l'adempimento della
citata convenzione di Washington del 3 marzo 1973, di cui alla legge 19
dicembre 1975, n. 874, potendosi
avvalere delle esistenti strutture del Corpo forestale dello Stato. Solo questi due articoli sono
sufficienti per comprendere che lo spirito con cui è stata pensata la
Legge è ben diverso da quello degli altri Stati europei: mentre l’Europa
ha cercato e trovato soluzioni per combattere il prelievo degli uccelli
dalla natura, l’Italia ha colto l’occasione per disincentivare
decisamente l’allevamento in cattività, fissando sanzioni sproporzionate
ed affidando il controllo al CFS, corpo di polizia che si è poi
dimostrato essere particolarmente in sintonia con i movimenti
animalisti, arrivando persino
a stipulare
l’11 luglio del 2013 un
accordo di collaborazione con la FIDAA di Michela Vittoria
Brambilla, nel più totale disinteresse
di tutte le nostre federazioni. Il particolare affiatamento fra gli animalisti ed i
forestali produsse alcuni blitz spettacolari, fra cui quello del
sequestro degli uccelli alla corriera di allevatori al Brennero, di
ritorno dal mercato olandese di Zwolle. In quegli anni l’attacco agli allevatori da parte
degli animalisti fu decisamente frontale, sull’onda dello slogan “gli
uccelli devono stare sui rami e non in gabbia”. A parte la quasi completa
distruzione della storica sagra di Sacile, ricordo con angoscia la
brutta esperienza che, una decina di anni fa, mi trovai a vivere alla
riuscitissima
mostra presso la fiera di Pordenone,
organizzata dalla locale associazione (AOP),
dove
gli animalisti portarono un provocatorio attacco proprio
dentro
alla manifestazione. I successivi dinieghi dei vari
permessi da parte degli amministratori locali, filo animalisti,
costrinsero
quella riuscitissima iniziativa alla chiusura. Bisogna anche dire che gli animalisti sono stati
corteggiati e sostenuti, con molta determinazione, da tutti i partiti
politici, da sinistra a destra; ricordo a questo proposito, che nel
2017, in vista delle elezioni si stimava che i 60 milioni di animali
presenti nelle case degli italiani avrebbero fruttato nelle urne non
meno di un 5% di voti. Ancora oggi all’interno di ogni partito coesistono
due correnti di pensiero: quello animalista da una parte e le lobby a
favore della caccia, dall’altra. Noi allevatori amatoriali non esistiamo, non siamo
mai stati rappresentati da nessuno e temo che mai lo saremo, per
tantissime ragioni che evito di raccontarvi. Quando il governo Renzi propose
di accorpare 5 corpi di polizia in uno unico, fui fra coloro che si
schierarono decisamente a favore della proposta, perché ritenevo che
l’assorbimento del CFS nell’Arma dei Carabinieri
potesse
recidere l’insano rapporto con gli animalisti e che fosse possibile una
seria riorganizzazione del “servizio CITES”. Dal 1° di gennaio 2017 è avvenuta l’integrazione ma,
in breve tempo, le mie speranze si sono dimostrate irrealizzabili e, se
possibile, la situazione è andata ulteriormente aggravandosi. Ho avuto la netta impressione
che per i carabinieri, il CFS rappresenti solo una appendice di scarso
interesse, per non usare termine più tagliente, e come tale è stata
trattata fin dall’inizio: non è neppure stato rimodulato il sito
ufficiale della forestale in quello dell’arma, sul quale si potevano
leggere
utili informazioni. Si è
ulteriormente e pesantemente aggravato lo “stile
anarchico” con il quale gli uffici
territoriali del servizio CITES hanno sempre interpretato le norme e le
hanno fatte applicare anche se non previste dalla Legge. A
riprova di ciò vi faccio un esempio che sa dell’inverosimile: l’anello per gli
uccelli in Allegato B) non è obbligatorio,
in quanto non imposto da alcuna norma, come confermato dalla
Circolare dell'8.11.2010 (Prot.201007535),
a firma del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali,
che fornisce chiarimenti in merito all'art. 5 della legge 150/1992
(marcatura degli esemplari): (omissis) 1. Marcatura esemplari di uccelli inclusi in allegato B del reg. 338/1997
“Relativamente alle specie di uccelli incluse nell'allegato B al reg.
(CE) 338/97 non sussistono i presupposti normativi necessari a
prefigurare un obbligo di marcatura degli esemplari vivi (per
tutte le specie animali, salvo i casi espressamente previsti dal
Regolamento, la questione interpretativa non si era posta), anche se la
stessa Autorità nazionale di gestione la raccomanda fortemente al fine
di prevenire possibili problematiche connesse alla verifica del rispetto
dell'articolo 8.5 del reg. (CE) 338/97.” Ebbene, nonostante nessuno degli uffici
territoriali CITES osi affermare il contrario di quanto sopra
dimostrato, pretendono che le
denunce di nascita indichino il numero dell’anello, in caso
contrario, non si considera completa la denuncia e non si provvede
a comunicare il numero di
protocollo. Fino a qualche mese fa l’Ufficio CITES di Forlì era
il solo che applicava correttamente la Legge,
poi sono stati rimossi i funzioni
e coloro che li hanno sostituiti si sono allineati a tutti gli altri. Io non credo che sia stato diramato un ordine di
servizio dall’alto, so solo che ogni ufficio applica le regole che
ritiene più convenienti in base alle proprie logiche personali, che
finiscono per essere completamente diverse fra di loro. Ci sono uffici che pretendono un singolo foglio di
denuncia di nascita (il modello SCT1/bis) per ogni covata, anche se
composta da un solo novello, con relativi marcaggi dei riproduttori;
altri che pretendono un foglio per ogni specie, altri ancora che
pretendono una riga per ogni esemplare con relativi numeri di anelli
indipendentemente dalle specie e dalle cove, insomma una babele. Estremamente significativa è stata la risposta che mi
è stata data da un carabiniere forestale al quale avevo chiesto se per
caso fosse cambiata la Legge, dato che mi venivano richieste
integrazioni ad una denuncia mai fatte in precedenza: “No,
non è cambiata la Legge, sono cambiati i funzionari”. Vorrei infine sottolineare il fatto che la
legislazione adottata in Italia, a differenza di quella europea, che
prevede l’obbligo dell’inanellamento, non protegge assolutamente gli
uccelli, anzi permette di aggirare gli ostacoli con estrema facilità. Ancora un esempio concreto: gli usignoli del Giappone
(Leiothrix lutea), che sono inseriti in allegato B), si riproducono
con estrema facilità in natura anche in Italia, pur essendo alloctoni,
ma con enormi difficoltà in cattività. In commercio si trovano esemplari in grande quantità
a prezzi modesti, tutti senza anello, ma con regolare documento di
cessione al seguito. E’ sufficiente che una uccelleria si faccia spedire da qualche fornitore, residente in un paese comunitario, un documento che attesti la cessione di un certo numero di esemplari che gli permetta di dimostrare la legittima provenienza e che acquisti per pochi euro usignoli di cattura ed il gioco è fatto, ed è praticamente impossibile dimostrare il raggiro. Conclusioni Credo che non sia necessario scrivere molto per
argomentare le conclusioni: i fatti che ho riportato dimostrano
che in Italia, a differenza
del resto del mondo, non si è legiferato per proteggere la fauna, ma per
costringere gli allevatori amatoriali a cessare l’allevamento in
cattività. Questo è sempre stato l’obiettivo degli animalisti
che, per ragioni di calcolo e di opportunità,
hanno ottenuto il consenso e l’appoggio di tutto il mondo
politico che, tra l’altro, gli ha anche permesso di presidiare una parte
importante della tecnostruttura pubblica. (25 maggio 2020)
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