Il gazzettino ornitologico

a cura di Dario Loreti

 
 
 
 
 
 
 



19ago21 ore22:20

Il Gorilla

Sulla piazza di una città

La gente guardava con ammirazione

Un gorilla portato là

Dagli zingari di un baraccone

Con poco senso del pudore

Le comari di quel rione

Contemplavano l’animale

Non dico come, non dico dove

Attenti al gorilla

D’improvviso la grossa gabbia

Dove viveva l’animale

S’aprì di schianto non so perché

Forse l’avevano chiusa male

La  bestia uscendo fuori di là

Disse “quest’oggi me la levo”

Parlava della verginità

Di cui ancora viveva schiavo

 Attenti al gorilla

Il padrone si mise a urlare

“Il mio gorilla fate attenzione

Non ha veduto mai una scimmia

Potrebbe fare confusione”

Tutti presenti a questo punto

Fuggirono in ogni direzione

Anche le donne dimostrando

La differenza tra idea e azione

Attenti al gorilla

Tutta la gente corre di fretta

Di qua e di là con grande foga

Si attardano solo una vecchietta

E un giovane giudice con la toga

Visto che gli altri avevan squagliato

Il quadrumane accellerò

E sulla vecchia e sul magistrato

Con quattro salti si portò

Attenti al gorilla

“ Bah” sospirò pensando la vecchia

“Ch’io fossi ancora desiderata

Sarebbe cosa alquanto strana

E più che altro non sperata”

“Che mi si prenda per una scimmia”

Pensava il giudice col fiato corto

“Non è possibile, questo è sicuro”

Il seguito prova che aveva torto

Attenti al gorilla

Se qualcuno di voi dovesse

Costretto con le spalle al muro,

violare un giudice od una vecchia

della sua scelta sarei sicuro

Ma si dà il caso che il gorilla

Considerato un grandioso fusto

Da chi l’ha provato però non brilla

Né per lo spirito né per il gusto

Attenti al gorilla

Infatti lui sdegnata la vecchia

Si dirige sul magistrato

Lo acchiappa forte per un’orecchia

E lo trascina in mezzo ad un prato

Quello che avvenne tra l’erba alta

Non posso dirlo per intero

Ma lo spettacolo fu avvincente

E la suspence ci fu davvero

Attenti al gorilla

Dirò soltanto che sul più bello

Dello spiacevole e cupo dramma

Piangeva il giudice come un vitello

Negli intervalli gridava “mamma”

Gridava mamma come quel tale

Cui il giorno prima come ad un pollo

Con una sentenza un po’ originale

Aveva fatto tagliare il collo

Attenti al gorilla

Fabrizio De Andrè – Un gorilla - 1968

 

 

Il gorilla, che strano animale.

Il mercoledì o il giovedì, a seconda della tipologia di mostra, un allevatore esce di casa per ingabbiare o incontra un amico per farsi ingabbiare i suoi uccelli, i suoi futuri campioni,nella sede di una delle tante mostre ornitologiche organizzate in Italia: con la massima certezza di un equo e positivo giudizio, la sera a tavola, parlerà con sua moglie dell’inaspettato successo da cui molto presto verrà travolto.

Diversi punteggi al di sopra del 90, delle coccarde da attaccare sul muro o su uno stravagante albero di natale  al posto delle tradizionali palline colorate, un prosciutto o un salame da tagliare a tavola con la propria famiglia, perché “ è pur vero che ero fuori casa a vivere la passione ma tra gli applausi del pubblico pagante e un post sui social media questo salume me lo sono proprio guadagnato”, magari qualche bottiglia d’olio o di vino, una medaglia da 3 o 4 grammi d’oro se tutto andrà secondo i piani, i complimenti degli amici e i falsi complimenti dei nemici.

Così pensò il selezionatore di prim’ordine.

La stessa mattina un altro allevatore,  procede con l’ingabbio nelle stesse modalità, anche lui convinto di portare a casa un ricco bottino come premio dei suoi risultati selettivi, solo che al termine del giudizio i punteggi medi non sono superiori ai 90 punti, anzi, si assestano ad una media dell’88 con qualche 87 a forma di nota stonata, qualcosa stavolta non è andata per il verso giusto, o forse qualcuno non ha compreso fino in fondo la reale bellezza dei soggetti ingabbiati.

La sera a tavola, senza prosciutto né salame, nel silenzio tombale figlio della sconfitta, quel silenzio  fitto e denso come la nebbia della Val Padana, resta il povero piatto da dividere, e quell’inattesa distrazione dell’organo giudicante favorisce al massimo una cassetta di mele o una bottiglia di vino offerti dall’organizzazione a chi comunque si è prodigato nello sforzo di dover accettare, suo malgrado, un giudizio non condiviso.

Quella sera il giudice e il suo giudizio  sono gli argomenti padroni alle tavole del vincitore e del vinto: nella cena del primo è apostrofato come lungimirante, brillante, propenso a scovare il dettaglio, per il secondo la discussione si basa sulla sua indisciplinata e riprovevole avversione al far vincere il soggetto che più meritava.

Chi dei due ha letto il cartellino analitico attaccato alla gabbia il sabato in mostra dopo aver visionato le classifiche del venerdì?

Nessuno dei due probabilmente.

Ricordo ancora il giorno in cui giudicai in quella mostra ( ovviamente non darò riferimenti spazio temporali) e un allevatore al termine del giudizio mi si avvicinò e con grazia e falsa empatia per la valutazione ricevuta mi chiese:

- non è che potresti mettermi un punto in più a quel corpo chiaro opalino?

- Perché mai dovrei? - Risposi col tono seccato di chi delimita i propri confini rispondendo a una domanda che non poteva e non doveva essere posta – ha degli evidenti difetti attribuibili al tipo, già un 88 è più che sufficiente.

- Perché mi manca un punto per prendere il prosciutto intero – mi disse.

Il prosciutto intero.

Voleva un punto nel tipo per ricevere il prosciutto intero nel gruppo dei migliori venti ondulati, in sostanza niente punto niente prosciutto.

Rimasi inerme davanti alla sua affermazione, in fondo non voleva barare, voleva solo un prosciutto.

Da giudice a salumiere il passo è un attimo, un lento scorrere di ore al ritroso fino a sbagliare porta, da quella del corso giudici nell’hotel indicato dalla federazione al corso di macellazione e produzione animale indicato dal tuo istinto di sopravvivenza.

La risposta, nel più stretto dialetto romano fu: - Ma m’hai scambiato pe n’ pizzicarolo?  - incredulo e non cosciente se fossi dominato dalla rabbia o dall’ironia per quel commento talmente fuori luogo al punto da non crearmi nemmeno imbarazzo, i 360 gradi li aveva percorsi tutti ponendosi al punto di partenza, del resto gli estremi in un cerchio coincidono sempre.

 Per il 90% degli allevatori non è importante nulla in mostra se non il punteggio finale, ma ancor di più la posizione nella classifica di ogni categoria, osannati dal pubblico durante la ricezione dei premi, e con il tempo i social media hanno peggiorato le cose rendendo la mostra un circo: c’è addirittura chi ha paventato il malsano desiderio di predisporre una mostra ”on line” a causa del Covid19 con giudici che operano da casa davanti a un computer, praticamente il festival del paradosso, l’anti ornitologia offerta perché, malgrado il virus che ha sconvolto le nostre vite, the show must go on.

No signori, l’ornitologia e il giudizio sono piaceri da condividere dal vivo, the show non deve per forza must go on, un animale va tassativamente osservato dal vivo e analizzato in ogni più piccolo e apparentemente insignificante particolare, perché spesso sono proprio i particolari ad evidenziare le differenze.

Piuttosto quanti allevatori sanno leggere realmente un cartellino di giudizio e quanti realmente lo leggono?

Per esperienza posso affermare con certezza che ciò che maggiormente conta per un allevatore è il punteggio finale e di un giudizio analitico completo poco importa: non è fondamentale capire il perché di quella votazione ma è la votazione stessa che rende onore e merito al soggetto.

Un cartellino è la descrizione di una serie di foto istantanee che scatta il giudice ripetutamente con i propri occhi: analizza in prima voce “colore e disegno” per gli altri psittaciformi ( 35 punti ), per gli ondulati di colore, perdonate il gioco di parole, il “colore” appunto ( 25 punti ),il “tipo” ( 15 punti ) e la “maschera “(10 punti), salvo che non si tratti di una mutazione priva di ondulazioni per cui la voce “colore“accorpa le tre precedenti ( ben 50 punti disponibili), per quelli di forma e posizione invece, ove la struttura del soggetto è la caratteristica principale, si inizia con la voce “grandezza,forma,proporzioni, condizioni e piumaggio” ( 30 punti ), “grandezza e forma della testa” (20 punti) e” portamento e posizione delle ali” ( 15 punti).

Noterete pertanto che la sorte di un soggetto è scritta più o meno nelle prime voci, dove risaltano per numero di punti ottenuti le possibilità o meno di concorrere a podio: ad esempio per la categoria “altri psittaciformi”un soggetto con evidenti difetti di colore partirà con 28-29 punti in prima voce,al di sotto dei 28 punti si è completamente fuori dallo standard descrittivo composto dalla commissione tecnica (CTN), uno con ottime caratteristiche 32-33 punti, con 30 -31 un soggetto buono ma che non eccelle.

Scorrendo il cartellino degli altri psittaciformi arriviamo alla voce “portamento e struttura” ( 20 punti) e “taglia” ( 15 punti), con queste tre prime voci 70 punti, con relative penalizzazioni, sono già stati assegnati, il dado non è ancora tratto ma ci manca veramente poco.

Si termina con “zampe, dita e unghie” ( 10 punti), voce obsoleta che a mio avviso andrebbe accorpata con l’ultima “condizioni generali”( 5 punti): l’assenza di un’unghia determina la non giudicabilità di un animale da sette anni a questa parte, pertanto unirla a condizioni generali sarebbe quanto mai idoneo, in sostanza è una voce poco usata in termini di giudizio e, salvo rari casi, quasi mai penalizzata dal giudice.

Negli ondulati di colore dopo le prime tre voci incontriamo le voci “piumaggio” ( 20 punti) e “taglia”( 20 punti): entrambe sono fondamentali, in particolar modo la voce taglia ( quella ideale dovrebbe assestarsi a 17 cm ) che ha creato non poche polemiche con i membri tecnici dei paesi esteri ( Germania in prima linea) che puntano a una selezione più consistente in termini di parametri prettamente fisici ( 19 cm ), termina il giudizio con la voce “portamento e condizioni generali” ( 10 punti).

 

Negli ondulati di forma e posizione, superate le prime tre voci ( anche qui sono stati già assegnati 65 punti con relative penalizzazioni) incontriamo le tre righe dedicate non più alla struttura ma all’aspetto somatico del soggetto in termini di disegno: le voci “tipo” ( 15 punti), “maschera e macchie” ( 10 punti) e “colore” ( 10 punti) si concentrano su quelle caratteristiche che primeggiano nell’ondulato di colore e che, come potete osservare, hanno una rilevanza analitica nettamente minore rispetto a quest’ultimo.

Dalla suddetta analisi si potrà notare come un soggetto subisca uno screening molto preciso da parte di un giudice che suddividerà la propria opinione tecnica in diverse voci: un esemplare meraviglioso con un pessimo stato di piumaggio e magari un difetto nel ramo superiore del becco dovuto a un colpo inflitto da un suo simile in voliera potrebbe a settembre ricevere un punteggio al di sotto del 90 per poi rimettersi in forma e andare a vincere il campionato italiano a dicembre.

Pertanto sig. Gorilla, con chi se la vuole prendere se non ha letto il cartellino di giudizio delicatamente incollato sulla gabbia del suo campione?

Il giudice di settembre è un asino e quello prossimo al Natale un fuoriclasse?

Qualcuno leggendo penserà: quindi il giudice non sbaglia mai.

No, non ho mai scritto né detto questo.

Il giudice è un essere umano dominato dagli eventi della vita e che, a seconda delle proprie peculiarità esercita la propria funzione dando maggior garanzie a talune specie rispetto ad altre.

I giudici sono tutti uguali e sanno giudicare, con lo stesso modus operandi, le infinite specie con le relative mutazioni o somme di mutazioni presenti nel panorama degli psittaciformi?

No, assolutamente no.

In ogni collegio ci sono giudici più o meno preparati, e soprattutto più o meno indicati a giudicare determinate specie, così come ci sono atleti centometristi più o meno veloci, medici e chirurghi più o meno abili nell’operare e nel definire una patologia con relativa anamnesi e prognosi, e così via per altri milioni di casistiche.

L’abilità, la forza di una mostra ben giudicata e ben riuscita, sta in primis nella formazione da mettere in campo, dove l’allenatore è il presidente di giuria coadiuvato dal collega della specializzazione con maggior anzianità.

E ora un banale esempio con nomi dettati dalla mia fantasia.

 Per la mostra di Forlì otto giudici, selezionati dal presidente dell’ordine, sui dieci del ventaglio composto dal club degli Agapornis si presentano la mattina mezz’ora prima dell’inizio del giudizio per ricevere le categorie che dovranno esaminare e da cui decreteranno i vinti e i vincitori con relativi punteggi: Marco Rossi è un mostro sacro nella categoria Agapornis roseicollis avorio, Gino Bianchi il massimo intenditore dei roseicollis verdi, Luca Marroni il fuoriclasse assoluto dei lilianae, nigrigenis e canus,  Pino Verdi il re della serie blu doppio asterisco e Antonio Gialli il principe degli occhi cerchiati.

Appurato che la giuria è di primissimo ordine e la riuscita della mostra è quasi certa il presidente di giuria dovrà assegnare le categorie secondo un principio basato sulla razionalità e sulla competenza: se ha Marco Rossi in squadra lo “sfrutterà” per gli avorio mentre il buon Bianchi si supererà con i verdi e così via.

Mettere Marco Rossi, in una delle prime mostre europee per blasone e coefficiente di difficoltà nel giudizio e nel numero di esemplari presenti in una singola categoria, a giudicare i canus dove hai la possibilità di “piazzare” Marroni allora i conti non tornano.

Riassumendo: è dovere dell’allevatore accettare il giudizio ma soprattutto analizzare il cartellino con molta attenzione in ogni singola voce, è dovere del giudice aggiornarsi e dare il meglio di sé soprattutto nelle categorie in cui eccelle, è dovere del presidente di giuria, assistito dal giudice più “esperto”, assegnare le categorie ai membri della squadra rispettando le capacità e le peculiarità di ognuno di loro.

Nella speranza di esser sempre la vecchia e mai il magistrato.

21lug21 ore05:45

 

UN GIUDICE

“Fu nelle notti insonni, vegliate al lume del rancore

che preparai gli esami e diventai procuratore

per imboccar la strada che dalle panche d’una cattedrale, porta alla sacrestia

quindi alla cattedra d’un tribunale

giudice finalmente arbitro in terra del bene e del male.”

Fabrizio De Andrè – Un giudice – 1971

 

Oh  –  fu la prima parola che pronunciai quando risposi al telefono.

“Oh” è una tipica, neo dialettale ed estremamente confidenziale esclamazione romana che sta per “ dimmi, cosa c’è?”

 

Erano circa le 6:00 del mattino di un afoso e torrido 25 giugno del 2016, l’aria condizionata dell’hotel piacentino convenzionato con la Federazione Ornicoltori Italiani era puntata verso il mio letto come un plotone d’esecuzione e saggiamente valutai di tenerla spenta, quando Nicolò Benatelli, situato a poche stanze dalla mia, mi telefonò : la differenza sostanziale del perché entrambi eravamo svegli stava nel fatto che lui svolgeva, e tutt’ora svolge, l’attività di pasticciere abituato a lavorare dalle primissime ore del mattino, le stesse che vengono confuse e identificate dalla maggior parte delle persone per notte fonda, io semplicemente ero stato colto da un’epica ansia.

 

Entrambi alle 9:00 avremmo sostenuto l’esame per divenire, o meno, giudici della specializzazione “Ondulati e Psittacidi” ( solo nel 2017 il neo presidente Benagiano avrebbe correttamente variato il nome di questa  in “Ondulati e altri Psittaciformi” ), lui tranquillo come se dovesse chiudere il solito impasto nel laboratorio della pasticceria, io teso come se stessi andando a sostenere la prova pratica per l’abilitazione da idraulico professionista senza aver mai cambiato un rubinetto in vita mia.

 

-         Oh sei sveglio? – dissi.

           Ma grazie che è sveglio, mi ha chiamato lui – pensai in poco meno di un secondo.

-         Si si, sono in piedi da un po’ – rispose Nicolò con il suo tipico accento ondulatorio veneto, quell’accento che non ti permette di capire se deve aggiungere qualcosa o meno alla frase, delicato come la peperonata a mezzanotte e intonato come me quando allegramente canto sotto la doccia.

-         Io non ho quasi chiuso occhio, ho mangiato anche il blister dell’imodium e spero tanto di non svolgere l’esame in bagno, che fai vieni in camera e ripassiamo?

 

Sperai in un secco si.

 

-         5 minuti e vengo da te – mi rispose, e ciò provocò in me un tepore più che piacevole malgrado la violenta temperatura estiva, avrei avuto la possibilità di ripassare e parlare allo stesso tempo con qualcuno, magari spegnere i timori e accendere la testa, il conforto di una persona preparata talvolta ti rilassa e allenta quella controproducente tensione che conduce all’errore.

 

             Perché ero così teso?

Un paio di giorni prima un mio caro amico, tale  Marco, mi disse ridendo: “ Pensa se ti bocciano – e sempre ridendo – lo fai anche per lavoro, con quali occhi ti guarderebbero gli allevatori?”

Non c’era proprio niente da ridere, la sua battuta era pertinente e opportuna, sbagliando l’esame e ottenendo una bocciatura avrei in parte compromesso la mia visibilità, come può un operatore di mercato, uno che svolge questa attività da quasi vent’anni, auto crocifiggersi ponendosi un obiettivo non facile da raggiungere ma pur sempre non obbligatorio?

La domanda corretta è perché ho questa autolesionistica capacità di alzare l’asticella mettendomi nei guai?

 

Non ci avevo pensato, avevo parlato diverse volte con Mendel, avevo studiato a memoria il codice deontologico, avevo giudicato nelle prove centinaia di animali e riconosciuto una miriade di mutazioni e somme di mutazioni, ma la botta d’ansia no, quella proprio non l’avevo prevista, e aggiungendo il quinto “avevo” che manca, avevo fatto male.

 

Alle 8:00 mi vestii, non toccai nulla per colazione, stavo ancora digerendo il risotto agli asparagi del buon Mario Cecchi ,presidente dell’associazione Maceratese, intimo amico del vice presidente FOI Diego Crovace e soprattutto infaticabile cuoco sempre attivo nella cucina di Piacenza: indossai un paio di jeans e una camicia blu a maniche corte, non ero né elegante né sportivo, ero semplicemente vestito decentemente, almeno l’abbigliamento era corretto e appropriato.

 

Alle 9:00 ci riunimmo nella mansarda della sede FOI: eravamo tutti insieme, allievi per il passaggio a giudici nazionali e giudici nazionali che avevano terminato il quinquennio per il passaggio a giudici esperti ( ruolo che di lì a breve decadde dando la possibilità al giudice nazionale di sostenere l’esame, passati cinque anni dalla sua nomina, direttamente per il ruolo di giudice internazionale).

Tra i candidati al passaggio negli esperti c’era il mio amico Orazio Curci con 20 centimetri di vita in meno rispetto ad oggi,qualche capello in più, il solito gilet  beige con le tasche da pescatore, la risata stampata in faccia e quell’inconfondibile accento romano che mi riportò a casa :

 - “ A Dà , come la vedi? A me me sa che oggi ce segano a tutti” - disse tra una sboccata risata ed un’altra.

Ovviamente sapeva benissimo che non saremmo stati tutti “segati”,  il suo modo di allentare la tensione era questo , essere inopportuno e simpatico allo stesso tempo con la competenza di un ottimo giudice e l’irriverenza e l’autocelebrazione al limite massimo della tollerabilità: io in pieno imbarazzo risi, d’altronde l’alternativa era toccarsi insistentemente le parti intime ma non essendo mai stato scaramantico, non avendo mai creduto alla fortuna o alla sfortuna,sostenendo che un individuo è artefice del proprio destino e nulla è scritto o attribuibile al fato, risi, poi scambiai qualche battuta con lui  fino a quando il presidente Benagiano non gli fece notare che era un giudice e che si era presentato all’esame senza esibire il cartellino, e  Benagiano non rideva, così col solito accento e un paio d’ “Ahò” antecedenti alla difesa della propria dimenticanza  Orazio se la cavò con un paio di scuse, e finalmente smise di ridere.

-Tutti seduti prego – disse Crovace con la sua solita voce ferma e sicura tipica di chi con una certa abitudine detta le regole e, gesticolando con le mani, ci indirizzò verso le sedie accanto a diversi tavoli su cui singolarmente avremmo scritto le nostre verità in materia ornitologica per superare lo scritto.

- Come ben sapete l’esame sarà diviso in prova scritta e prova pratica, questa mattina gli aspiranti giudici svolgeranno la prova scritta mentre chi è stato chiamato per il passaggio ad esperto svolgerà prima la pratica, dopo la pausa pranzo invertiremo i due gruppi e quando tutti avrete terminato passeremo all’orale in ordine di distanza dalla vostra abitazione – terminò Crovace invitandoci alla divisione immediata, quindi noi “giovani” saremmo restati nell’ultimo piano mentre “i quasi esperti” sarebbero scesi a quello inferiore.

I chilometri avrebbero determinato comunque chi per primo sarebbe tornato a casa: io come una boccia mal tirata ma comunque vincente ero tra i più vicini vivendo nella provincia di Ancona, sarei stato quindi,con tutta probabilità, l’ultimo candidato a sostenere l’orale, e così fu.

 

Arrivarono dopo una decina di minuti dalla separazione dei due gruppi i fatidici fogli su cui erano immortalati i quesiti a risposta aperta o multipla:  questi trattavano cenni di  anatomia, genetica, codice deontologico e tassonomia, così decisi imprudentemente di partire con la materia a me più congeniale, e iniziai, o almeno credetti di iniziare, con le domande di genetica, non considerando che il panico, senza che nessuno lo avesse interpellato, avrebbe iniziato la prova senza di me.

 

La prima domanda, troppo facile da sbagliare:  ondulati -scrivi i risultati dell’accoppiamento  tra un maschio blu portatore di ino e una femmina albino.

 

Ora, se proprio in questo preciso istante una banda di delinquenti mi pestasse a sangue,  così come quel 25 giugno, provocandomi fratture multiple ed ecchimosi ovunque, e dopo l’accurato pestaggio il capo banda mi avesse posto la suddetta domanda, bene io avrei comunque risposto correttamente, ma in quel bizzarro 25 giugno annegavo nel mio lago di sudore e ripensavo continuamente alla domanda di Marco – e se ti bocciano? Che cavolo di figura fai?

 

Crovace si rese conto che qualcosa non quadrava e mi invitò ad andare un momento in bagno per darmi una rinfrescata e tranquillizzarmi un po’: così mi diressi verso quell’intimo ufficio, mi sciacquai il viso, e uscendo vidi lo sguardo di Nicolò imperterrito a correre su quel foglio come se nulla lo scalfisse, e nulla effettivamente lo scalfiva.

 

Mario Chindamo era distante qualche metro da me, e l’altro candidato , di cui non farò il nome per motivi che tra poco scoprirete, era parallelo a Mario, eravamo a tutti gli effetti i quattro angoli di un quadrato.

 

Recuperai immediatamente la concentrazione e come un tennista sotto 6-0 dopo il primo set misi a segno una gran quantità di vincenti in serie e con tutti i colpi del repertorio riportai la partita in parità: ansia vs Dario un set pari.

 

Mi resi conto, poco dopo aver consegnato la prova scritta, di essere scivolato solo su una piccola buccia di banana posta al centro del campo, ma avevo delle attenuanti, la domanda era posta in maniera non corretta: la mutazione lutino agisce  A- sulle melanine, B- sulle psittacofulvine, C- su entrambi i pigmenti.

 

La risposta di getto fu la C, entrambi i pigmenti, cavolata epocale degna di quattro calci nel sedere da parte del mio maestro Maurizio Manzoni: però c’era un però, il lutino non è una mutazione, la mutazione è l’ino, e l’ino agisce sulle melanine nella serie verde e su entrambi i pigmenti nella serie blu, ma era inutile starne a discutere, l’errore era stato dettato da quella immediata sicurezza che avevo prontamente recuperato, perciò frittata fatta, mi ero sbloccato e sarebbe stato controproducente lamentarsi di un errore a tutti gli effetti mio.

Ci alzammo al termine della prova, eravamo tutti e quattro soddisfatti, avevo un piccolo dubbio su un’altra domanda ma ebbi modo di chiarirlo durante l’orale.

 

Avevo chiesto a Mario Cecchi, con il quale sono legato da un rapporto di grande affetto, di cimentarsi con una bella amatriciana per pranzo, glielo avevo chiesto ovviamente con ironia, lui mi prese sul serio, forse troppo, e per pranzo puntuale come l’autobus di Berna arrivò un delizioso bucatino all’amatriciana: avevo lo stomaco chiuso ma come disdegnare quel generoso gesto?

 

Non lo disdegnai, anzi, feci il bis, sempre meglio essere bocciati con quella succulenta pietanza nello stomaco che senza, così mangiai scherzando con gli altri candidati.

 

Orazio era stranamente silenzioso e agitato, e Dio mi è testimone , oltre ai tanti amici in comune che abbiamo, che non è mai silenzioso e quasi mai agitato: l’ansia mi suggerì il motivo della sua anomala riservatezza, la prova pratica da lui appena conclusa e che a breve avrei sostenuto.

 

Non potevo parlarci, la volpe Crovace aveva distribuito in due tavoli i concorrenti, in questo modo chi aveva appena  svolto lo scritto non avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi su questo con l’altro gruppo, idem per chi aveva appena sostenuto la prova pratica.

 

L’unica cosa che lessi sul labiale di Orazio fu una specie di “mamma mia” accompagnato da una mano posizionata a lama di coltello, quella mossa di karate per spaccare in un sol colpo le tavolette di legno, solo che invece di un colpo secco lui la muoveva frettolosamente dall’alto verso il basso, e ancora, ancora, e ancora una volta.

 

Compresi che al piano inferiore non ci avrebbero atteso quattro comuni e un roseicollis avorio, magari, al piano di sotto c’erano venticinque animali degni del peggior incubo di ogni giudice che si rispetti, e le mie previsioni furono confermate pochi minuti dopo.

 

Scendemmo le scale, entrammo nella sala, lì ci attendeva Roberto Pagliasso, presidente della CTN, Roberto Sabattini, uno dei massimi esperti di ondulati e giudice internazionale, nonché mio maestro del settore ondulati, uno dei quali ha subito uno stalking asfissiante da parte mia per prepararmi a regola d’arte in vista dell’esame, c’era anche il buon Luigi Vergari, “Giggino”con due enormi e graffianti G per gli amici  ( non chiamatelo così perché si arrabbia), allora presidente di collegio, poco dopo arrivò Crovace mentre Benagiano saliva e scendeva le scale per vedere all’opera i candidati.

 

Dopo un primo e veloce sguardo agli animali puntai i miei occhi su Sabattini e con aria scossa e delusa e pronunciai – Ma cosa sono questi?

Compresi che la scelta, almeno degli ondulati, non era stata la sua, aveva troppo cuore per proporre una sfida simile ad un allievo, e soprattutto avrebbe dovuto ospitarmi nel suo allevamento almeno per un altro paio di anni prima che io potessi ritentare l’esame, però quel composto di somme di mutazioni tutto sembrava tranne che un buon presagio e una sua volontà.

 

Non era un esame, era la fiera delle stranezze e la somma di casistiche improbabili: quale allevatore sano di mente selezionerebbe un ondulato di colore fulvo corpo chiaro pezzato recessivo  blu faccia gialla?

Quando ripenso a quel pastrocchio e alla possibilità di incontrarne nuovamente uno in mostra mi viene la pelle d’oca: le melanine talmente diluite da proteggere il segreto più grande che un essere vivente può portarsi nella tomba,l’identità dei propri genitori e il loro corredo genetico, avrei donato un TSO in psichiatria a quel fenomeno che aveva, al 101%  involontariamente, creato quel Frankenstein di noi altri, c’era poco da fare, andava comunque riconosciuto e giudicato lui così come gli altri soggetti, e gli altri soggetti, come si dice a Roma, non vendevano le fusaie al Gianicolo.

 

Iniziai a valutare un Pyrrhura rupicola, gli mancava un’unghia, un bel NG che sta per non giudicabile e primo punto in cassa, passai ad un groppone arancio che si mosse e mi lasciò intravedere una sorta di pezzatura, a tutti gli effetti era un pezzato, anche pallido, due a zero palla al centro.

 

Gli altri soggetti, a parte qualcuno, erano più complessi dei due iniziali, ma con tanta fatica, un’esperienza insufficiente ( che nel tempo giudicando ho parzialmente acquisito), un minimo di competenza e qualche spostamento degli animali verso la luce arrivai a dama, consegnai i cartellini e festa finita.

 

Festa finita? C’era ancora l’orale ad attendermi, la partita era più che mai aperta e mi sentivo minuto dopo minuto più sicuro di me.

 

Al termine della prova parlammo, Nicolò continuava ad impastare le sue pastarelle immaginarie, era tranquillo e beato, gli avessero detto che era stato bocciato, anzi segato come suggerì il buon Orazio, non ci avrebbe creduto, Mario ed io ci confrontavamo e ci chiedevamo cosa sarebbe saltato fuori all’orale.

 

Il primo entrato all’orale fu il candidato che non ho nominato, non superò l’esame, e a quel punto l’ansia si tramutò nel grillo parlante e mi suggerì di continuare a sudare, io ero abbastanza tranquillo, tutto sommato il peggio era passato.

 

Toccò a Mario e subito dopo fu il turno di Nicolò, uscirono sereni e con stile attesero il mio orale senza andare a casa: entrai a pochi minuti dalle 21:00 ,nella stanza c’erano tutti, da Crovace a Pagliasso, da Benagiano a Vergari, sembravano i mega direttori galattici di Fantozzi, loro i mega direttori galattici, io Fantozzi.

 

Discussi l’orale egregiamente, la telofase presente sia nella meiosi che nella mitosi fu quel jolly che non guasta mai, quel colpo con la racchetta da sotto le gambe che fa capire che non sei lì perché hai sbagliato portone, ero nel posto giusto al momento quasi giusto.

 

Terminai la prova, finalmente il presidentissimo Andrea Benagiano parlò  – mi aspettavo di meglio – disse con voce ferma e ironica modulata da due eleganti baffi in stile british immobili sotto il naso.

 

Di meglio?

Tra me e me pensai: tra una settimana verso le 21:00 lo chiamo a casa e gli chiedo cos’è la telofase.

 

Avevo appena conosciuto le parole di una delle più belle persone che io abbia mai incontrato nella vita, al di fuori di quella stanza avrei sposato ogni sua battaglia,sia interna che esterna al circuito ornitologico.

 

 

Uscii soddisfatto dalla sala dei mega direttori galattici, parlottai con Nicolò e Mario, ci promettemmo che il primo che avrebbe avuto notizie del risultato o dei risultati avrebbe chiamato gli altri.

 

Iniziai a guidare, poco dopo in autostrada sprofondai in un pianto liberatorio a causa di un forte calo di tensione: pensai a mia zia Rosarita, per gli amici Marzia, la mia seconda madre,una pazza di sessant’anni che mi aveva lasciato da poco, a quando mi disse di non mollare con il mio lavoro e la mia passione perché solo i privilegiati trasformano la passione in lavoro.

 

Poco alla volta le lacrime cessarono di attraversare i miei zigomi, un sospiro dichiarò il termine della giornata, la guerra era finita, il crepuscolo avvolgeva l’autostrada nel silenzio assordante dei motori in corsa, la rosa dei venti era appassita, l’aria immobile e calda mi avrebbe accompagnato a casa.

06lug21 ore06:14

Oggetto:  Spiaggia nudisti

Presentazione:

La spiaggia nudisti è un luogo circoscritto  ove ci si può liberare dei propri indumenti nel pieno rispetto delle regole di civile convivenza, senza pertanto  ledere la sensibilità altrui: malgrado ciò questo luogo, e di conseguenza i propri ospiti, sono stati da sempre oggetto di scherni e critiche da parte di coloro i quali valutano la libertà somatica del singolo individuo una mera espressione di puro esibizionismo. 

Il nome di questa rubrica non è pertanto tirato così a caso: potrò liberamente spogliarmi dei miei pensieri e trascriverli in questa camera concessami dal buon Daniele,sarò ospite di quello che ritengo l’unico blog attualmente interessato, ed interessante, all’ornitologia italiana ed estera, valuterò gli avvenimenti presenti, passati e futuri sotto la mia lente d’ingrandimento, una lente che talvolta potrà risultare ad alcuni di voi, non escluso il padrone di casa, appannata,non funzionante o non funzionale, ciò comunque non desterà il mio personale desiderio di comunicarvi le mie impressioni sull’attuale panorama ornitologico. 

Gli argomenti saranno tanti e la mia pancia sceglierà come suddividerli e classificarli: i verbi diffamare, offendere, ledere non fanno parte del mio vocabolario, so perfettamente fino a dove posso e non posso arrivare e ciò che posso o non posso scrivere, c’è un luogo e un tempo per ogni tipo di dibattito, ma se sarete dei lettori attenti potrete scorgere dietro le righe interessanti spunti di riflessione. 

Daniele è piuttosto preoccupato per il mio futuro, da buon padre mi ha invitato a rifletterci sopra, ma io sono un testone con la penna in mano da sempre, figuratevi ora. 

Quasi dimenticavo: mi chiamo Dario Loreti, ho 40 anni,  mi piace definirmi “operatore di mercato” del settore  ornitologico ( se voi preferite commerciante), sono un allevatore di psittaciformi iscritto alla FOI ( Federazione Ornicoltori  Italiani ) con RNA 84LX, sono un giudice federale della stessa con specializzazione ondulati e altri psittaciformi, nel mondo dei becchi storti  ho tantissimi amici che mi vogliono un mondo di bene e tengono tanto a me, almeno credo. 

Prima di pubblicare questa breve presentazione ho letto ciò che ho scritto alla mia lettrice ed interlocutrice preferita,  mia madre: ha scorto una non distratta voglia di graffiare, soprattutto nell’ultima frase del precedente paragrafo. 

Chi ci conosce meglio di chi ci ha messo al mondo? 

Benvenuti nella mia rubrica, benvenuti nella spiaggia nudisti.

 

 

Tu sei l'ospite n. dal 20.06.2003