Oh –
fu la prima parola che pronunciai quando risposi al telefono.
“Oh” è una tipica, neo dialettale ed
estremamente confidenziale esclamazione romana che sta per “
dimmi, cosa c’è?”
Erano circa le 6:00 del mattino di un
afoso e torrido 25 giugno del 2016, l’aria condizionata
dell’hotel piacentino convenzionato con la Federazione
Ornicoltori Italiani era puntata verso il mio letto come un
plotone d’esecuzione e saggiamente valutai di tenerla spenta,
quando Nicolò Benatelli, situato a poche stanze dalla mia, mi
telefonò : la differenza sostanziale del perché entrambi eravamo
svegli stava nel fatto che lui svolgeva, e tutt’ora svolge,
l’attività di pasticciere abituato a lavorare dalle primissime
ore del mattino, le stesse che vengono confuse e identificate
dalla maggior parte delle persone per notte fonda, io
semplicemente ero stato colto da un’epica ansia.
Entrambi alle 9:00 avremmo sostenuto
l’esame per divenire, o meno, giudici della specializzazione
“Ondulati e Psittacidi” ( solo nel 2017 il neo presidente
Benagiano avrebbe correttamente variato il nome di questa
in “Ondulati e altri Psittaciformi” ), lui tranquillo come se
dovesse chiudere il solito impasto nel laboratorio della
pasticceria, io teso come se stessi andando a sostenere la prova
pratica per l’abilitazione da idraulico professionista senza
aver mai cambiato un rubinetto in vita mia.
-
Oh sei sveglio? – dissi.
Ma grazie che è sveglio, mi ha chiamato lui – pensai in poco
meno di un secondo.
-
Si si, sono in piedi da un po’ – rispose
Nicolò con il suo tipico accento ondulatorio veneto,
quell’accento che non ti permette di capire se deve aggiungere
qualcosa o meno alla frase, delicato come la peperonata a
mezzanotte e intonato come me quando allegramente canto sotto la
doccia.
-
Io non ho quasi chiuso occhio, ho
mangiato anche il blister dell’imodium e spero tanto di non
svolgere l’esame in bagno, che fai vieni in camera e ripassiamo?
Sperai in
un secco si.
-
5 minuti e vengo da te – mi rispose, e
ciò provocò in me un tepore più che piacevole malgrado la
violenta temperatura estiva, avrei avuto la possibilità di
ripassare e parlare allo stesso tempo con qualcuno, magari
spegnere i timori e accendere la testa, il conforto di una
persona preparata talvolta ti rilassa e allenta quella
controproducente tensione che conduce all’errore.
Perché ero così teso?
Un paio di
giorni prima un mio caro amico, tale Marco, mi disse
ridendo: “ Pensa se ti bocciano – e sempre ridendo – lo fai
anche per lavoro, con quali occhi ti guarderebbero gli
allevatori?”
Non c’era
proprio niente da ridere, la sua battuta era pertinente e
opportuna, sbagliando l’esame e ottenendo una bocciatura avrei
in parte compromesso la mia visibilità, come può un operatore di
mercato, uno che svolge questa attività da quasi vent’anni, auto
crocifiggersi ponendosi un obiettivo non facile da raggiungere
ma pur sempre non obbligatorio?
La domanda
corretta è perché ho questa autolesionistica capacità di alzare
l’asticella mettendomi nei guai?
Non ci
avevo pensato, avevo parlato diverse volte con Mendel, avevo
studiato a memoria il codice deontologico, avevo giudicato nelle
prove centinaia di animali e riconosciuto una miriade di
mutazioni e somme di mutazioni, ma la botta d’ansia no, quella
proprio non l’avevo prevista, e aggiungendo il quinto “avevo”
che manca, avevo fatto male.
Alle 8:00
mi vestii, non toccai nulla per colazione, stavo ancora
digerendo il risotto agli asparagi del buon Mario Cecchi
,presidente dell’associazione Maceratese, intimo amico del vice
presidente FOI Diego Crovace e soprattutto infaticabile cuoco
sempre attivo nella cucina di Piacenza: indossai un paio di
jeans e una camicia blu a maniche corte, non ero né elegante né
sportivo, ero semplicemente vestito decentemente, almeno
l’abbigliamento era corretto e appropriato.
Alle 9:00
ci riunimmo nella mansarda della sede FOI: eravamo tutti
insieme, allievi per il passaggio a giudici nazionali e giudici
nazionali che avevano terminato il quinquennio per il passaggio
a giudici esperti ( ruolo che di lì a breve decadde dando la
possibilità al giudice nazionale di sostenere l’esame, passati
cinque anni dalla sua nomina, direttamente per il ruolo di
giudice internazionale).
Tra i
candidati al passaggio negli esperti c’era il mio amico Orazio
Curci con 20 centimetri di vita in meno rispetto ad oggi,qualche
capello in più, il solito gilet beige con le tasche da
pescatore, la risata stampata in faccia e quell’inconfondibile
accento romano che mi riportò a casa :
- “ A Dà ,
come la vedi? A me me sa che oggi ce segano a tutti” - disse tra
una sboccata risata ed un’altra.
Ovviamente sapeva benissimo che non saremmo
stati tutti “segati”, il suo modo di allentare la tensione
era questo , essere inopportuno e simpatico allo stesso tempo
con la competenza di un ottimo giudice e l’irriverenza e
l’autocelebrazione al limite massimo della tollerabilità: io in
pieno imbarazzo risi, d’altronde l’alternativa era toccarsi
insistentemente le parti intime ma non essendo mai stato
scaramantico, non avendo mai creduto alla fortuna o alla
sfortuna,sostenendo che un individuo è artefice del proprio
destino e nulla è scritto o attribuibile al fato, risi, poi
scambiai qualche battuta con lui fino a quando il presidente
Benagiano non gli fece notare che era un giudice e che si era
presentato all’esame senza esibire il cartellino, e
Benagiano non rideva, così col solito accento e un paio d’ “Ahò”
antecedenti alla difesa della propria dimenticanza Orazio se la
cavò con un paio di scuse, e finalmente smise di ridere.
-Tutti
seduti prego – disse Crovace con la sua solita voce ferma e
sicura tipica di chi con una certa abitudine detta le regole e,
gesticolando con le mani, ci indirizzò verso le sedie accanto a
diversi tavoli su cui singolarmente avremmo scritto le nostre
verità in materia ornitologica per superare lo scritto.
- Come ben
sapete l’esame sarà diviso in prova scritta e prova pratica,
questa mattina gli aspiranti giudici svolgeranno la prova
scritta mentre chi è stato chiamato per il passaggio ad esperto
svolgerà prima la pratica, dopo la pausa pranzo invertiremo i
due gruppi e quando tutti avrete terminato passeremo all’orale
in ordine di distanza dalla vostra abitazione – terminò Crovace
invitandoci alla divisione immediata, quindi noi “giovani”
saremmo restati nell’ultimo piano mentre “i quasi esperti”
sarebbero scesi a quello inferiore.
I
chilometri avrebbero determinato comunque chi per primo sarebbe
tornato a casa: io come una boccia mal tirata ma comunque
vincente ero tra i più vicini vivendo nella provincia di Ancona,
sarei stato quindi,con tutta probabilità, l’ultimo candidato a
sostenere l’orale, e così fu.
Arrivarono
dopo una decina di minuti dalla separazione dei due gruppi i
fatidici fogli su cui erano immortalati i quesiti a risposta
aperta o multipla: questi trattavano cenni di anatomia,
genetica, codice deontologico e tassonomia, così decisi
imprudentemente di partire con la materia a me più congeniale, e
iniziai, o almeno credetti di iniziare, con le domande di
genetica, non considerando che il panico, senza che nessuno lo
avesse interpellato, avrebbe iniziato la prova senza di me.
La prima
domanda, troppo facile da sbagliare: ondulati -scrivi i
risultati dell’accoppiamento tra un maschio blu portatore
di ino e una femmina albino.
Ora, se
proprio in questo preciso istante una banda di delinquenti mi
pestasse a sangue, così come quel 25 giugno, provocandomi
fratture multiple ed ecchimosi ovunque, e dopo l’accurato
pestaggio il capo banda mi avesse posto la suddetta domanda,
bene io avrei comunque risposto correttamente, ma in quel
bizzarro 25 giugno annegavo nel mio lago di sudore e ripensavo
continuamente alla domanda di Marco – e se ti bocciano? Che
cavolo di figura fai?
Crovace si
rese conto che qualcosa non quadrava e mi invitò ad andare un
momento in bagno per darmi una rinfrescata e tranquillizzarmi un
po’: così mi diressi verso quell’intimo ufficio, mi sciacquai il
viso, e uscendo vidi lo sguardo di Nicolò imperterrito a correre
su quel foglio come se nulla lo scalfisse, e nulla
effettivamente lo scalfiva.
Mario
Chindamo era distante qualche metro da me, e l’altro candidato ,
di cui non farò il nome per motivi che tra poco scoprirete, era
parallelo a Mario, eravamo a tutti gli effetti i quattro angoli
di un quadrato.
Recuperai
immediatamente la concentrazione e come un tennista sotto 6-0
dopo il primo set misi a segno una gran quantità di vincenti in
serie e con tutti i colpi del repertorio riportai la partita in
parità: ansia vs Dario un set pari.
Mi resi
conto, poco dopo aver consegnato la prova scritta, di essere
scivolato solo su una piccola buccia di banana posta al centro
del campo, ma avevo delle attenuanti, la domanda era posta in
maniera non corretta: la mutazione lutino agisce A- sulle
melanine, B- sulle psittacofulvine, C- su entrambi i pigmenti.
La risposta
di getto fu la C, entrambi i pigmenti, cavolata epocale degna di
quattro calci nel sedere da parte del mio maestro Maurizio
Manzoni: però c’era un però, il lutino non è una mutazione, la
mutazione è l’ino, e l’ino agisce sulle melanine nella serie
verde e su entrambi i pigmenti nella serie blu, ma era inutile
starne a discutere, l’errore era stato dettato da quella
immediata sicurezza che avevo prontamente recuperato, perciò
frittata fatta, mi ero sbloccato e sarebbe stato
controproducente lamentarsi di un errore a tutti gli effetti
mio.
Ci alzammo
al termine della prova, eravamo tutti e quattro soddisfatti,
avevo un piccolo dubbio su un’altra domanda ma ebbi modo di
chiarirlo durante l’orale.
Avevo
chiesto a Mario Cecchi, con il quale sono legato da un rapporto
di grande affetto, di cimentarsi con una bella amatriciana per
pranzo, glielo avevo chiesto ovviamente con ironia, lui mi prese
sul serio, forse troppo, e per pranzo puntuale come l’autobus di
Berna arrivò un delizioso bucatino all’amatriciana: avevo lo
stomaco chiuso ma come disdegnare quel generoso gesto?
Non lo
disdegnai, anzi, feci il bis, sempre meglio essere bocciati con
quella succulenta pietanza nello stomaco che senza, così mangiai
scherzando con gli altri candidati.
Orazio era
stranamente silenzioso e agitato, e Dio mi è testimone , oltre
ai tanti amici in comune che abbiamo, che non è mai silenzioso e
quasi mai agitato: l’ansia mi suggerì il motivo della sua
anomala riservatezza, la prova pratica da lui appena conclusa e
che a breve avrei sostenuto.
Non potevo
parlarci, la volpe Crovace aveva distribuito in due tavoli i
concorrenti, in questo modo chi aveva appena svolto lo
scritto non avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi su
questo con l’altro gruppo, idem per chi aveva appena sostenuto
la prova pratica.
L’unica
cosa che lessi sul labiale di Orazio fu una specie di “mamma
mia” accompagnato da una mano posizionata a lama di coltello,
quella mossa di karate per spaccare in un sol colpo le tavolette
di legno, solo che invece di un colpo secco lui la muoveva
frettolosamente dall’alto verso il basso, e ancora, ancora, e
ancora una volta.
Compresi
che al piano inferiore non ci avrebbero atteso quattro comuni e
un roseicollis avorio, magari, al piano di sotto c’erano
venticinque animali degni del peggior incubo di ogni giudice che
si rispetti, e le mie previsioni furono confermate pochi minuti
dopo.
Scendemmo
le scale, entrammo nella sala, lì ci attendeva Roberto Pagliasso,
presidente della CTN, Roberto Sabattini, uno dei massimi esperti
di ondulati e giudice internazionale, nonché mio maestro del
settore ondulati, uno dei quali ha subito uno stalking
asfissiante da parte mia per prepararmi a regola d’arte in vista
dell’esame, c’era anche il buon Luigi Vergari, “Giggino”con due
enormi e graffianti G per gli amici ( non chiamatelo così
perché si arrabbia), allora presidente di collegio, poco dopo
arrivò Crovace mentre Benagiano saliva e scendeva le scale per
vedere all’opera i candidati.
Dopo un
primo e veloce sguardo agli animali puntai i miei occhi su
Sabattini e con aria scossa e delusa e pronunciai – Ma cosa sono
questi?
Compresi
che la scelta, almeno degli ondulati, non era stata la sua,
aveva troppo cuore per proporre una sfida simile ad un allievo,
e soprattutto avrebbe dovuto ospitarmi nel suo allevamento
almeno per un altro paio di anni prima che io potessi ritentare
l’esame, però quel composto di somme di mutazioni tutto sembrava
tranne che un buon presagio e una sua volontà.
Non era un
esame, era la fiera delle stranezze e la somma di casistiche
improbabili: quale allevatore sano di mente selezionerebbe un
ondulato di colore fulvo corpo chiaro pezzato recessivo
blu faccia gialla?
Quando
ripenso a quel pastrocchio e alla possibilità di incontrarne
nuovamente uno in mostra mi viene la pelle d’oca: le melanine
talmente diluite da proteggere il segreto più grande che un
essere vivente può portarsi nella tomba,l’identità dei propri
genitori e il loro corredo genetico, avrei donato un TSO in
psichiatria a quel fenomeno che aveva, al 101%
involontariamente, creato quel Frankenstein di noi altri, c’era
poco da fare, andava comunque riconosciuto e giudicato lui così
come gli altri soggetti, e gli altri soggetti, come si dice a
Roma, non vendevano le fusaie al Gianicolo.
Iniziai a
valutare un Pyrrhura rupicola, gli mancava un’unghia, un bel NG
che sta per non giudicabile e primo punto in cassa, passai ad un
groppone arancio che si mosse e mi lasciò intravedere una sorta
di pezzatura, a tutti gli effetti era un pezzato, anche pallido,
due a zero palla al centro.
Gli altri
soggetti, a parte qualcuno, erano più complessi dei due
iniziali, ma con tanta fatica, un’esperienza insufficiente ( che
nel tempo giudicando ho parzialmente acquisito), un minimo di
competenza e qualche spostamento degli animali verso la luce
arrivai a dama, consegnai i cartellini e festa finita.
Festa
finita? C’era ancora l’orale ad attendermi, la partita era più
che mai aperta e mi sentivo minuto dopo minuto più sicuro di me.
Al termine
della prova parlammo, Nicolò continuava ad impastare le sue
pastarelle immaginarie, era tranquillo e beato, gli avessero
detto che era stato bocciato, anzi segato come suggerì il buon
Orazio, non ci avrebbe creduto, Mario ed io ci confrontavamo e
ci chiedevamo cosa sarebbe saltato fuori all’orale.
Il primo
entrato all’orale fu il candidato che non ho nominato, non
superò l’esame, e a quel punto l’ansia si tramutò nel grillo
parlante e mi suggerì di continuare a sudare, io ero abbastanza
tranquillo, tutto sommato il peggio era passato.
Toccò a
Mario e subito dopo fu il turno di Nicolò, uscirono sereni e con
stile attesero il mio orale senza andare a casa: entrai a pochi
minuti dalle 21:00 ,nella stanza c’erano tutti, da Crovace a
Pagliasso, da Benagiano a Vergari, sembravano i mega direttori
galattici di Fantozzi, loro i mega direttori galattici, io
Fantozzi.
Discussi
l’orale egregiamente, la telofase presente sia nella meiosi che
nella mitosi fu quel jolly che non guasta mai, quel colpo con la
racchetta da sotto le gambe che fa capire che non sei lì perché
hai sbagliato portone, ero nel posto giusto al momento quasi
giusto.
Terminai la
prova, finalmente il presidentissimo Andrea Benagiano parlò
– mi aspettavo di meglio – disse con voce ferma e ironica
modulata da due eleganti baffi in stile british immobili sotto
il naso.
Di meglio?
Tra me e me
pensai: tra una settimana verso le 21:00 lo chiamo a casa e gli
chiedo cos’è la telofase.
Avevo
appena conosciuto le parole di una delle più belle persone che
io abbia mai incontrato nella vita, al di fuori di quella stanza
avrei sposato ogni sua battaglia,sia interna che esterna al
circuito ornitologico.
Uscii
soddisfatto dalla sala dei mega direttori galattici, parlottai
con Nicolò e Mario, ci promettemmo che il primo che avrebbe
avuto notizie del risultato o dei risultati avrebbe chiamato gli
altri.
Iniziai a
guidare, poco dopo in autostrada sprofondai in un pianto
liberatorio a causa di un forte calo di tensione: pensai a mia
zia Rosarita, per gli amici Marzia, la mia seconda madre,una
pazza di sessant’anni che mi aveva lasciato da poco, a quando mi
disse di non mollare con il mio lavoro e la mia passione perché
solo i privilegiati trasformano la passione in lavoro.
Poco alla
volta le lacrime cessarono di attraversare i miei zigomi, un
sospiro dichiarò il termine della giornata, la guerra era
finita, il crepuscolo avvolgeva l’autostrada nel silenzio
assordante dei motori in corsa, la rosa dei venti era appassita,
l’aria immobile e calda mi avrebbe accompagnato a casa.
|